“Bravissimo
Matteo Angius nei panni di se stesso” (C.T. Saturno)
Definire
Matteo Angius attore sminuirebbe tutto il lavoro da lui stesso portato avanti
sino ad oggi con Accademia degli Artefatti.
La
"persona" Angius sul palco diventa un narratore di argomenti
attraverso il suo personaggio e solo modulando e calibrando queste due figure
diviene attore.
Con il
suo modo di recitare, Angius ci porta nel limbo dove rappresentazione e realtà
si confondono spingendo cosi lo spettatore a divenire uno osservatore
consapevole, che studia l'argomento messo in scena e dal quale è costretto a
delle sensazioni attive.
Durante
la performance, l'uomo mutabile e modificatore, diviene spunto di recitazione
per Angius, oggetto di indagine.
Matteo
Angius riesce perfettamente a mettere in comunicazione l'attore e lo spettatore
che riesce a prendere sempre più atto dalla separazione tra i ruoli e i compiti
di persona, personaggio e attore.
Ma
allora Angius è un “finto attore” o è “personaggio di se stesso”? Rispondo con
le parole di Jean-Luc Nancy: “Il teatro è la cessazione del segreto, se
il segreto è quello dell'essere in sé o quello di un'anima ritratta in
un'intimità. È l'in se stesso o l'intimità che come tale esce e si espone. È il
"mondo come teatro" così come lo conosciamo fin da Calderon e da
Shakespeare, ma così come in effetti tutta la nostra tradizione - almeno fin
dalla caverna platonica - l'ha rimuginato, quel "mondo come teatro"
in quanto verità, proprio come e proprio perché il corpo si rivela la verità
dell'anima: verità che si spinge anch'essa sulla scena o più precisamente
verità che fa scena.”